I DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
di M. Lucina Tretti e Patrizio E. Tressoldi
I Disturbi Evolutivi Specifici dell’Apprendimento (DSA) costituiscono un’area di interesse clinico nella quale si è realizzato negli ultimi trent’anni un importante avanzamento delle conoscenze grazie ai numerosi contributi derivati dalla ricerca scientifica e dall’affinamento delle tecniche di indagine diagnostica. Questo consente oggi di potere condividere la definizione e la classificazione dei DSA anche tra professionisti e/o specialisti di diversa formazione (es. psicologi, neuropsichiatri, logopedisti, pedagogisti), di effettuare una diagnosi in modo accurato, di realizzare trattamenti mirati, nonché di poter disporre di psicologi ed altri operatori che operano nel campo con competenze specifiche. Un passo fondamentale in questa direzione è stato compiuto con la pubblicazione a fine gennaio 2007 delle nuove Raccomandazioni per la pratica clinica elaborate nell’ambito della Consensus Conference e che derivano dal confronto di ben 10 associazioni e società scientifiche di studiosi e professionisti esperti di questi problemi. Tale documento, a partire da una definizione comune dei Disturbi Evolutivi Specifici dell’Apprendimento (identificati ormai in modo uniforme con l’acronimo DSA) che è riferita ai soli disturbi delle abilità scolastiche, ne ha definito anche criteri diagnostici, eziologia, procedure di indagine, segni precoci con evoluzione e prognosi, epidemiologia, comorbilità e trattamento.
CARATTERISTICHE
Hammill nel 1990 definiva le caratteristiche generali del Disturbo di Apprendimento (“learning disability” è l’espressione corrispondente in lingua inglese) basandosi sull’ intesa a cui erano giunte numerose associazioni di ricerca ed intervento nel campo:
learning disability (L.D.) si riferisce ad un gruppo eterogeneo di disturbi manifestati da significative difficoltà nell’acquisizione e nell’uso di abilità di ascolto, espressione orale, lettura, ragionamento e matematica, presumibilmente dovuti a disfunzioni del sistema nervoso centrale. Possono coesistere con la L.D. problemi nei comportamenti di autoregolazione, nella percezione sociale e nell’interazione sociale, ma non costituiscono di per sé una L.D. Le L.D. possono verificarsi in concomitanza con altri fattori di handicap o con influenze estrinseche (culturali, d’istruzione, ecc.), ma non sono il risultato di quelle condizioni o influenze.
In sintesi, secondo tale definizione, la L.D. viene a raccogliere una gamma diversificata di problematiche nello sviluppo cognitivo e nell’apprendimento scolastico, non imputabili primariamente a fattori di handicap mentale grave e definibili in base al mancato raggiungimento di criteri attesi di apprendimento (per i quali esista un largo consenso) rispetto alle potenzialità generali del soggetto (Cornoldi, 1999, 2007). Va precisato che il termine “Disturbo Specifico dell’Apprendimento” fa riferimento ad una ben precisa categoria diagnostica dal punto di vista clinico e scientifico, identificata da precisi criteri oggettivi e valutabili, e pertanto va distinto dalla più generica espressione “difficoltà di apprendimento” che include più sommariamente tipologie molto diverse di difficoltà che si possono manifestare nell’ambito scolastico. Questo è stato ben definito nella prima parte del documento elaborato dalla Consensus Conference che indica come principale caratteristica della definizione di questo disturbo quella della “specificità”, intendendo che tale disturbo sia riferito ad uno specifico dominio di abilità in modo significativo, ma circoscritto, mentre rimane intatto il funzionamento intellettivo generale.
I Disturbi Specifici dell’Apprendimento possono riguardare un ambito specifico, come lettura, scrittura o calcolo, anche se nella pratica clinica è più frequente incontrare l’associazione di più deficit (ad esempio disturbo specifico di lettura, chiamato anche Dislessia, e specifico di scrittura). S i tratta comunque di disturbi distinti, ognuno con una propria fisionomia e per la descrizione specifica dei quali si rimanda alla prima parte delle citate raccomandazioni per la pratica clinica definite dalla Consensus Conference.
Sebbene questi disturbi siano in relazione con la maturazione biologica, ciò non implica che i bambini affetti siano semplicemente all’estremo più basso di un normale continuum e che quindi riguadagneranno col tempo il terreno perduto, ma avviene che, a seconda del grado di difficoltà, l’acquisizione delle competenze richieste, pur modificandosi nel tempo, non raggiunge quasi mai i livelli attesi per età e/o scolarità. Si tratta solitamente di difficoltà che si manifestano nel bambino fin dalle prime fasi del suo apprendimento, quando deve acquisire nuove abilità come la lettura, la scrittura ed il calcolo partendo da un assetto neuropsicologico che non favorisce l’apprendimento automatico di queste specifiche abilità. Tali difficoltà possono persistere in modo più o meno marcato attraverso l’adolescenza fino all’età adulta. Questo avviene perlopiù anche quando sono stati effettuati interventi riabilitativi ed educativi, che tuttavia risultano determinanti allo scopo di consentire un, se pur lento, percorso di miglioramento e soprattutto per garantire comunque appropriate condizioni e opportunità di apprendimento. L’evoluzione di tali Disturbi, in effetti, è favorita dalla precocità ed adeguatezza dell’intervento, oltre che dalle misure compensative prese nell’ambito del percorso scolastico per favorire l’apprendimento. Quanto detto è rilevante anche per una prognosi favorevole riguardo all’evoluzione sociale e della personalità di chi presenta queste problematiche. Soggetti con questi disturbi, infatti, presentano frequentemente storie di insuccesso nella scuola dell’obbligo che spesso finiscono per compromettere non solo la carriera scolastica, ma anche lo sviluppo della personalità e un adattamento sociale equilibrato (Stone e La Greca , 1990; Vogel, 1990; Biancardi, 1991; Masi et al., 1998; Stringer et al., 1999;). Circa l’80% dei bambini con problemi di apprendimento presentano anche problematiche di tipo relazionale. Di solito tali bambini sono meno benvoluti e più facilmente respinti rispetto agli altri compagni, presentano minore adattamento sociale ed emotivo, maggiore ansia, ritiro in se stessi, depressione e bassa autostima (Searcy, 1988; Wong, 1996).
Queste considerazioni, hanno portato negli ultimi anni anche in Italia a focalizzare l’attenzione sulla prevenzione, mettendo a punto programmi di potenziamento dei prerequisiti degli apprendimenti scolastici di base da utilizzare già a partire dalla scuola dell’infanzia (Terreni et al., 2002; Tretti et al., 2002). L’importanza di interventi di questo tipo è stata valorizzata anche dalla Consensus Conference, che ha dedicato un paragrafo proprio a questi aspetti.
Particolare rilevanza, inoltre, riveste l’attenzione che è rivolta finalmente negli ultimi anni, da parte della ricerca e nell’ambito della letteratura scientifica, all’analisi degli esiti di procedure di intervento, così da fornire alcune prime indicazioni fondate in grado di orientare i clinici del settore, ma anche insegnanti e genitori, sulle modalità di intervento, nella scelta delle tecniche abilitative, sulla opportunità o meno di utilizzare strumenti compensativi, come il computer, la sintesi vocalica o la calcolatrice. Per questa tematica si rimanda alla sezione dedicata all’intervento.
INCIDENZA
L’incidenza di questi disturbi è stimabile mediamente attorno al 3/4% a seconda dell’età, nonchè dei criteri e degli strumenti utilizzati dai ricercatori. Si tratta in ogni caso di valori importanti, poiché questo significa che in media ci possiamo aspettare la presenza di un alunno per classe con queste difficoltà. Esiste comunque un’ampia variabilità nei dati esistenti e questo ha portato la Consensus Conference a costituire un gruppo specifico che si dedicherà alla raccolta di dati epidemiologici affidabili riferiti alla realtà italiana. Per tenersi aggiornati sui contributi di ricerca utili all’aggiornamento delle Raccomandazioni per la pratica clinica sui DSA si consiglia di visitare il sito www.lineeguidadsa.it
BIBLIOGRAFIA
Consensus Conference(Montecatini 2006, Milano 2007) scaricabile dal sito dell’Associazione Airipa
Biancardi A. (1991) , “Disturbi di apprendimento nell’età scolare e successivi esiti sociali” , in Bambino incompiuto , n. 3, pp. 91-102
Cornoldi, C. (a cura di) (2007), Difficoltà e Disturbi dell’Apprendimento , Il Mulino, Bologna
Cornoldi, C. (1999), Le difficoltà di apprendimento a scuola , Il Mulino, Bologna
Hammill, D.D. (1990), “On defining learning disabilities: an emerging consensus”, in Journal of Learning Disabilities , 23, 74-84
Masi G., Brovedani P., Poli P. (1998), “School failure in early adolescence: the psychopatological risk” in Child Psychiatry and Human Development , vol. 29 (2), pp. 127-140
Searcy S. (1988), “Developing self-esteem”, in Academic Therapy , vol. 23 (5), pp. 453-460
Stone W.L., La Greca A. (1990), “The social status of children with learning disabilities: a reexamination”, in Journal of Learning Disabilities , 23, pp. 32-38
Stringer S.J., Morton R.C., Bonikowski M.H. (1999), “Learning disabled students: using process writing to build autonomy and self-esteem”, in Journal of Instructional Psychology , vol. 26 (3), pp. 196-200
Terreni A., Tretti M.L., Corcella P.R., Cornoldi C., Tressoldi P.E. (2002) , IPDA Questionario Osservativo per l’identificazione precoce delle difficoltà di apprendimento , Erickson, Trento
Tretti M.L., Terreni A., Corcella P.R. (2002), Materiali IPDA per la prevenzione delle difficoltà di apprendimento, Strategie e interventi, Erickson, Trento
Vogel S.A. (1990), “Gender differences in intelligence, language, visual motor abilities and academic achievement in students with learning disabilities: a review of the literature”, in Journal of Learning Disabilities , 23, pp. 44-53
Wong B. (1996), The ABCs of learning disabilities , Academic Press, San Diego U.S.A.